VIAGGIO DI UN INFERMIERE VOLONTARIO NELL’ABRUZZO DEVASTATO DAL SISMA

1S. Eusanio Forconese (AQ). La chiesa distrutta dal sisma, l’orologio è fermo al momento della scossa tellurica.

di Marco Di Stefano

Indice

 

Pag. 3……………………………………………………..Introduzione;

 

Pag. 23…………………………………………………….Conclusione;

 

Pag. 24 ……………Il mio viaggio in soccorso dei terremotati (poesia);

 

Pag. 26………………………………………………………….Articolo;

GIURAMENTO DELL’INFERMIERE

(Estratto)

“Al momento di essere ammesso quale membro della professione infermieristica, io consacro la  mia vita al servizio dell’umanità, consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio   e dell’impegno che assumo”           

  giuro

 

  • di mettere la mia vita al servizio della persona umana;

 

  • di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente, prestando la mia assistenza professionale a qualsiasi malato che ne abbia bisogno;

Introduzione 

Comunicato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sul terremoto del 6 aprile 2009 ore 6:50

La Rete Sismica Nazionale dell’INGV ha registrato un terremoto di Magnitudo 5.8 (Magnitudo Richter) (6.2 Mw=magnitudo momento) nella zona dell’Aquilano, il 6 Aprile 2009 alle 3:32 (ora italiana). Le coordinate epicentrali risultano: Lat. 42.33N e Long. 13.33E. La profondità dell’ipocentro è pari a 8.8 km. Il terremoto è caratterizzato da un meccanismo di tipo estensionale, con piani di faglia orientati NW-SE e direzione di estensione NE-SW (anti-appenninica).

 

Sono le 3,32 della notte del 6 Aprile 2009 ed una scossa tellurica di  5,8 gradi della scala Richter, 8°/9° grado della scala Mercalli, colpisce il cuore dell’Abruzzo. L’epicentro si trova ad una decina di chilometri da L’Aquila e la distruzione si abbatte su tutta la zona provocando 309 morti, 1.500 feriti, oltre 45.000 sfollati.

La mattina stessa mi offro come Infermiere volontario presso la Protezione Civile di Monteporziocatone (RM) e la sera alle ore 22.00 del 6 Aprile, giunto l’ordine di partenza, la nostra autocolonna inizia il viaggio verso l’Abruzzo colpito dal terremoto.

Questa storia inizia da qui…… in una località imprecisata dell’Abruzzo, circa 24 ore dopo il sisma.

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Ore 03.00…

Nel buio più assoluto, l’autocolonna si ferma lungo un rettilineo sopraelevato, rispetto al terreno circostante. I lampeggianti azzurri ed arancioni posti sopra gli autoveicoli si alternano, illuminando di un freddo blu e arancio ampi tratti del paesaggio circostante. Una bruma lattiginosa sale dalla terra e un freddo pungente mi schiaffeggia la faccia mentre scendo dal caldo Pick Up della Protezione Civile. Alcuni volontari sono scesi da altri automezzi, che sono in fila di fronte al mio. Parlottano tra di loro, poi tutti insieme guardano di fronte, cercando di vedere nel buio. Mi avvicino, sento parlare di distruzione, di un paese che non esiste più, si trova, a quanto dicono, più in alto davanti a noi, dopo una curva. Noi siamo la prima autocolonna che arriva in questo posto, dopo la violenta scossa di terremoto avvenuta 24 ore prima. Poco dopo la colonna si rimette in marcia, salgo sul mezzo, subito dopo, percorsi pochi metri, la colonna si ferma di nuovo. Scendiamo e guardiamo nuovamente verso il buio intenso.

Non so come si chiama il paese, non so cosa aspettarmi, sono un infermiere, poi scoprirò, l’unico di tutta l’autocolonna.

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I mezzi si muovono di nuovo e salgo, dopo una curva, ci dicono che siamo arrivati.

Costeggiando una antica chiesa lesionata vedo un grande parcheggio ricoperto con della breccia, sul quale sono parcheggiate una infinità di automobili. I vetri sono appannati, tutto sembra normale; il parcheggio, le auto, ma un terremoto 24 ore prima ha spazzato via le case dei proprietari di queste macchine e adesso le loro abitazioni sono diventate le automobili. Questi sono i superstiti del terremoto che da due notti aspettano i soccorsi.

Scendo, incamminandomi tra le auto, titubante ci guardo dentro, molti dormono con le teste reclinate sui sedili. I bambini con le faccine appoggiate sui grembi delle loro madri, gli anziani e i giovani. Qualcuno mi guarda, ed io mi vergogno, perché ho l’impressione, avendoli  guardati, di aver profanato la loro intimità.

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Ora è tutto un susseguirsi di automezzi che entrano nel parcheggio, rumore di motori, la nebbia rende tutto molto più ovattato e nasconde la tragedia di questa gente. S’inizia a costruire la tenda, insieme agli altri iniziamo a montarla. Ci sono difficoltà, sono tende che non conosciamo e con le quali non sono mai state fatte esercitazioni di montaggio. Si sbaglia e si ricomincia, si sbaglia di nuovo e si ricomincia. Il freddo è tanto, credo che la temperatura si aggiri intorno ai -3°,  l’umidità sale dal suolo, mi sembra di vederlo quel vapore gelido che ci bagna le divise. Poco lontano altri volontari hanno acceso un gran fuoco ed io li invidio, perché li fa caldo. Qualche persona è scesa dalle macchine e ci guarda mentre ci diamo da fare. Uno di loro, che ha esperienza nel montaggio delle tende ci aiuta e presto una parte della tenda è costruita. I volontari della Protezione Civile di Frascati i “Falco” hanno, invece, una tenda di quelle che si gonfiano con il compressore e ben presto una enorme tenda è già pronta. La nostra che si monta manualmente è molto difficile da tirare su, ma ben presto è pronta, poi iniziamo a costruire la seconda, ma adesso abbiamo fatto pratica e poco dopo anche questa è terminata.

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Comincia ad albeggiare, ma il sole luminoso che sale nel cielo limpido non è più quello che sorgeva fino a ieri tra l’azzurro e la splendida campagna, dietro quelle luminose montagne ricoperte di candida neve e che enormi si stagliano sopra il paese di Sant’Eusanio Forconese e su di noi. Oggi questo sole fa capolino sulla tragedia di un intero popolo. La cittadina che nel buio credevo fosse di fronte a me, in realtà si trova sulla mia sinistra, coricata sopra una collina con i fianchi coperti di alberi e sulla sommità di questa si erge l’antico paese. Solo le case di nuova costruzione hanno resistito al sisma, quelle antiche, costruite in pietra, sono crollate come abbattute dalla mano di un gigante, soffocando tra le macerie quelle nuove. Si intravedono resti di mura, come fossero denti spezzati, denti ormai morti.

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 Mentre osservo pensieroso la catastrofe sento qualche persona chiamarmi,    “Infermiere”, qualcuno mi cerca e il suono arriva da un gruppetto di persone  intorno ad una automobile, corro li, dentro c’è una ragazza che sta male. La        madre mi dice che ha vomitato poco prima e adesso sente di dover svenire. Le prendo    il polso e ascolto la sua frequenza cardiaca, guardando il mio orologio, è buona, non ho  con me l’occorrente per prenderle la pressione, tanto meno la saturazione, non    ho portato molti presidi. Pensavo che all’arrivo mi aggregassero presso un ospedale da campo, una postazione di pronto soccorso, dove avrei trovato tutto l’occorrente per svolgere il mio lavoro, ma adesso capisco che invece sono in prima linea ma da solo con 400 persone scampate ad un terremoto tremendo, da assistere. Comunque proseguo la visita della ragazza, per fortuna ho con me uno zaino infermieristico, nel quale ho un po’ di cose, le prendo la Glicemia ed infatti la giovane è leggermente ipoglicemica, un po’ di zucchero spero risolva il problema.

Non mangiano, scopro con angoscia, da circa 12 e più ore, la ragazza è debole e con questa sono due notti che dorme in auto, insieme a tutta la sua famiglia ed è così per tutti gli altri terremotati.

Subito dopo medico le ferite sulle mani di un uomo che si sono infettate, ha scavato tra le macerie a mani nude per soccorrere il fratello, sepolto da un crollo, lo disinfetto e lo bendo. Poi è la volta di un anziano non deambulante, cateterizzato…e poi sono tanti, donne e uomini sotto shock, persone con patologie croniche che non hanno medicinali, ipertensioni, e tanto altro ancora. Allora requisisco una tenda e comincio a “ricoverare” i malati, mi faccio aiutare da Marco ed Emanuela, la moglie, due volontari che sono con noi che mi fanno da ausiliari. Controllano i pazienti quando mi allontano per visitare qualcuno o organizzare qualcosa. Molti sono solo anziani, stanchi e debilitati da due notti trascorse all’addiaccio e io do un posto anche a loro. Li guardo mentre si stendono su quelle brande, emanando lunghi sospiri di sollievo, finalmente possono allungare le gambe, riposare la schiena, qualcuno mi sorride, qualcuno mi fa una carezza, ora c’è chi li sta aiutando e forse non sono più soli. Requisisco un’altra tenda, sono tanti che cercano aiuto, un’assistenza che io posso dargli solo a metà, non ho niente o perlomeno ho poche cose. A un ragazzo che ha avuto la gamba schiacciata da un muro crollato ma già medicato da qualcuno, do una bustina di Augumentin, un antibiotico che porto sempre con me in borsa e che spesso uso, servirà a poco perchè è l’ultima bustina, poi vedremo il da farsi. Non possiedo un altro farmaco che gli serve, “intanto prendi questo“ gli dico. Quando in giro si sparge la voce che c’è un Infermiere, molte persone, affette da patologie croniche, cardiopatie, insufficienze respiratorie, vengono da me e mi chiedono se ho i farmaci, ma “Mio Dio” non sono un farmacista, non li ho con me. Poi, incomincio a scrivere i nomi dei farmaci che gli servono sul mio taccuino, qualcosa farò.

Intanto il Campo cresce e sono arrivati i pezzi grossi della Protezione Civile Nazionale, degli ingegneri prendono le misure del terreno, li, dicono verranno posizionate 20 tende per un totale di 160 posti, ma i terremotati sono circa 400, dove li mettiamo gli altri. Affermano che le nostre tende non vanno bene perché non sono quelle riscaldabili. Io penso, mentre il Tenente Colonnello parla, che in fondo è meglio una tenda senza riscaldamento, con un lettino, un sacco a pelo ed una coperta, che trascorrere una notte, in cinque persone in una macchina…ma chi sono io…solo un infermiere.

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Per ora però penso alle mie priorità, i malati,  allora colgo l’occasione per parlare con il Tenente Colonnello e gli chiedo un ambulanza che mi faccia da posto fisso qui, visto che sono l’unico infermiere nella zona con un gran numero di persone bisognose di assistenza sanitaria, ma non mi ascolta, ha altre cose a cui pensare. Cosi ha inizio la mia lotta per avere un’ambulanza che faccia le veci di posto fisso sanitario, nel frattempo che mi arrivino i rinforzi, sarà dura.

Intanto i miei pazienti aumentano, arrivano donne e bambini sotto shock, molte piangono perché hanno perduto tutto, non hanno più una casa, non hanno più niente, solo la vita gli è rimasta ed oggi, qui, è una fortuna. Molti non possono più raccontarla, sono stati uccisi dalle macerie della casa che in vita avevano tanto amato e che avrebbe dovuto proteggerli dalle minacce del mondo.

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L’Ospedaletto

Le consolo, le accarezzo, queste vecchine che tanto mi ricordano mia nonna, le medico, cerco di farle sorridere e molte lo fanno, sono molto spiritoso oggi anche se dentro mi sento morire. La ragazza di prima sta di nuovo male, la ricovero dopo averle di nuovo preso la glicemia, povera ragazza, 17 anni, sono pochi per vedere una catastrofe così grande. Sono con lei, la madre e la nonna. Si mette nel letto titubante, si lamenta, ma poi poco dopo dorme e io capisco che almeno nel fisico l’ho guarita.

Finalmente riesco, tramite il nostro Coordinatore Enrico a mettermi in contatto telefonico, non senza grandi difficoltà con il C.O.M., il quartier generale dove si trova il Coordinatore della Protezione Civile che dirige tutte le squadre. Si trova in un paese vicino al nostro, San Demetrio Né Vestini, gli spiego la situazione sanitaria del campo,  lui mi promette che manderà un ambulanza, ho vinto, ma poco dopo, con grande delusione, quando questa arriva, l’autista della CRI, mi dice che non possono stare li come postazione fissa. Mezzora dopo, non senza avermi dato aiuto, se ne vanno.

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La mia situazione, intanto diviene sempre più critica, adesso anche i volontari delle altre associazioni della protezione civile hanno iniziato a portarmi pazienti, per fortuna sono quasi tutte patologie gestibili con una carezza e una parola dolce.

Marco e la moglie sono degli ottimi aiutanti e riescono a gestire bene la situazione. Lui è autista soccorritore sulle ambulanze e la moglie ha una faccia simpatica. E’ volenterosa e riesce a fare stare meglio chi soffre. Intanto continuano ad arrivare notizie di gente deceduta durante il terremoto, Onna, San Gregorio, Monticchio, Bazzano, Villa Sant’Angelo, tanti nomi, tante città distrutte. In tutti questi paesi i volontari stanno scavando tra le macerie e le ambulanze molto spesso non trasportano solo i feriti ma anche le persone decedute. A volte, anche cinque o sei per volta. Le salme sono raccolte in grandi sacchi neri. Tra questa notte e le prime ore del mattino a Villa S.Angelo sono state dissepolte venti salme.

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Marco ed Emanuela – Volontari Protezione Civile –

Guardo l’orologio, sono le 11,00,  mi sento stanco sono 15 ore che non dormo e lavoro ininterrottamente ma non ci penso, ho troppo da fare e una grande responsabilità, ad un certo momento mi ritrovo con tre telefonini in mano e non so neanche perché. Qui con me c’è anche Roberto, che ha risposto immediatamente alla chiamata di mobilitazione della Protezione Civile, ha tanta esperienza, ha lavorato tanti anni nei vigili del fuoco. Ha partecipato come soccorritore al terremoto dell’Irpinia, dell’Umbria e all’inondazione di fango di Sarno. E’ utilissimo e non si ferma mai. Lo vedo stanco, è da questa notte che monta tende. Ogni tanto, quando posso, gli vado vicino e gli consiglio di riposarsi, ma lui mi guarda e mi fa capire con un occhiata che non è il momento, la gente aspetta un posto dove stare, perché anche se queste tende sono un simulacro di casa, saranno la loro abitazione chissà per quanto tempo.

Mentre metto del collirio ad un volontario che ha una brutta infiammazione all’occhio destro causata da un allergia, riesco a mettermi in contatto con un infermiere che dirige la dislocazione delle unità infermieristiche della Protezione Civile, è molto gentile e tra un attesa e l’altra gli spiego la gravità della mia situazione. Lui dopo essersi fatto dare il mio numero di telefono, mi saluta, dicendomi che mi richiamerà.

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Continuo, questa volta, speranzoso nel mio lavoro, occupo un’altra tenda, ricoverando una ragazza incinta di 7 mesi, chi ha più diritto di lei ad un posto comodo?

Mi chiede un farmaco, un ricostituente del ferro, un medicinale indispensabile per una donna in dolce attesa con carenza di ferro, Gynefanferro, ma ovviamente non c’è.  Lo mando a prendere in una farmacia che si trova li vicino, in un altro paese. Dicono sia aperta. Delego questo compito a un nostro volontario, Costantino, speriamo bene.

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Costantino – volontario Protezione Civile-

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Nel frattempo vengo a sapere che il Farmacista di Sant’Eusanio Forconese, si sta organizzando per portare farmaci agli sfollati. Questa è musica per le mie orecchie ed aspetto impaziente che arrivi al campo. Poco dopo, infatti arriva con i medicinali, e inizia a consegnarli, basandosi sulla mia lista, a quelle persone che li avevano richiesti. Ci parlo e organizziamo una sortita al paese distrutto per prendere un frigorifero che servirà a contenere i farmaci.

 Pensiamo di aprire una specie di farmacia in una porzione dell’ultima tenda che ho requisito. E’ presto fatto, parte una squadra della Protezione Civile con il fedele Marco, con l’incarico piuttosto pericoloso di prelevare il frigo dalla farmacia danneggiata e portarlo al campo. Poco dopo infatti ritornano. Coadiuvati da una squadra dei Vigili del Fuoco sono riusciti ad entrare nella farmacia.  L’enorme frigorifero viene posizionato nella tenda. Il farmacista, aiutato dalla ragazza in dolce attesa, sistemano le medicine nei vari scomparti. Infine, grazie a due tavoli e ad un computer portatile del farmacista si inizia la distribuzione dei farmaci. E’ commovente vedere tutta quella gente in fila davanti alla tenda che aspetta il proprio turno. Le cose iniziano a girare bene, le tende vengono montate velocemente anche se con grande fatica dai volontari ed il campo comincia ad avere un aspetto decente, i terremotati cominciano di nuovo a sperare. Anche il collega del C.O.M. della Protezione Civile mi ha telefonato e mi ha detto che mi metterà a disposizione un’ambulanza con del personale per aiutarmi, sono felice e attendo fiducioso.

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Arriva un elicottero e atterra in un campo di frumento vicino alle tende, diversi volontari accorrono e abbassandosi si avvicinano al mezzo da dove scaricano generi alimentari ed acqua, dopodiché l’elicottero velocemente si alza in volo e sparisce in direzione de L’Aquila.

Di tanto in tanto alcune piccole scosse di terremoto fanno sobbalzare tutti noi, ma ci dobbiamo fare l’abitudine qui è una cosa normale adesso. Costantino è tornato ma non ha con se il farmaco. Alla farmacia gli hanno detto che glielo ordinano e che per le 16,30 può tornare a prenderlo.

Ora di pranzo, poco prima è arrivata una cucina militare mobile. Alcuni membri della Polizia Forestale stanno preparando il pranzo, bene, ho fame. Finalmente dopo ore che gestisco da solo una popolazione di circa 400 persone terremotate arriva l’ambulanza promessami. Ci sono due infermieri, un soccorritore e l’autista tutti della Croce Rossa di Paliano, hanno l’incarico di postazione h24, qui nel campo di Sant’Eusanio Forconese. Insieme a loro arriva un’altra ambulanza del 118, con medico a bordo, c’è un momento di confusione, come si dice “troppa grazia Sant’ Antonio”, ma riesco, parlando con il medico a chiarire le cose, insomma ho talmente rotto il cavolo a tutti che chi da una parte chi dall’altra alla fine hanno mandato ambulanze, molto bene, faccio vedere il “mio” ormai “ospedaletto” (da questo momento è stato questo il nome che ha assunto qui nel campo) alla dottoressa del 118, la quale visita tutti i pazienti. Vorrebbe mandare in ospedale, quello “vero”, una signora fortemente ipertesa. Però l’ospedale che si trova a L’Aquila è lesionato e si sta allestendo un ospedale da campo li vicino, purtroppo è ancora in fase di organizzazione. Per questo motivo decide, dietro mia intercessione, di lasciarci la paziente. Le facciamo un diuretico, il Lasix, e poi fra un po’ vedremo se la pressione si sarà abbassata. La dottoressa, intanto ha deciso, valutando che c’è già una ambulanza e probabilmente avendo trovato una situazione organizzata a livello sanitario, di salutarci e se ne va con il suo equipaggio. Io e i due colleghi infermieri, finalmente possiamo occuparci dei nostri malati, adesso anche con l’ausilio di un apparecchio per la pressione, un saturimetro e qualche blando farmaco, che ci sentiamo in grado di erogare ai pazienti.

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Il pranzo è pronto e ci possiamo finalmente concedere una pausa visto che i pazienti sono adesso tutti sotto controllo.

Rigatoni al sugo, tutti in fila, con gli sfollati per primi, aspettiamo il nostro turno, le porzioni sono abbondanti ed io mi servo due volte. I terremotati finalmente possono mangiare qualcosa di caldo. Dopo più di 36 ore dal sisma, si sta sicuramente progredendo.

Abbiamo anche portato con noi generi alimentari, succhi di frutta, cornetti, merendine,  anche coperte, sacchi a pelo. Li distribuiamo a chi ne ha bisogno, facciamo tutto ciò che possiamo. Intorno alle tre del pomeriggio finalmente arriva il 118 con le tende per istituire un P.M.A. (Presidio Medico Avanzato). Ci sono problemi per la sistemazione delle tende ma poco dopo si trova il posto e in breve tempo, dato che queste sono di quelle gonfiabili, è pronto. Ci sono medici ed infermieri e due ambulanze che con la nostra ed un’altra della protezione civile fanno quattro, forse anche troppe, ed io mi metto finalmente a disposizione del 118. Parlando con l’infermiere della Protezione Civile che fa parte dell’equipaggio dell’ambulanza vengo a sapere che loro sono due giorni che si trovano in zona e che hanno partecipato all’estrazione dalle macerie di svariate vittime e di avere assistito a scene strazianti. E’ depresso ed io mi ritengo fortunato di avere evitato almeno questo ingrato compito con il mio “ospedaletto”.

Sta arrivando la sera e il tempo sta cambiando enormi nuvoloni passano sulle montagne innevate di fronte a noi e si dirigono sul nostro campo. La giornata contrariamente alla notte è stata caldissima. Ho il viso scottato dal sole, la barba lunga, i piedi gonfi nelle scarpe antinfortunistiche e sicuramente non emano un profumo gradevole, ma sono soddisfatto dei progressi che abbiamo fatto con la Tendopoli, ma c’è ancora tanto lavoro da fare.

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Con l’addensarsi delle nuvole ci mettiamo al lavoro tutti più alacremente. Adesso anche i terremotati si sono messi ad alzare tende, aiutandoci. Prima di notte dobbiamo aver sistemato tutti. Mentre sto parlando con Roberto, alle 19,45 circa, un scossa enorme di terremoto mi alza letteralmente da terra, un boato scuote la valle e dal paese di Sant’Eusanio Forconese, a circa 600 metri da noi, una enorme nube di polvere si sta alzando in cielo, prima lentamente poi lo ricopre. Mi ricorda tanto le immagini che ho visto in televisione sul bombardamento di Cassino (FR) durante la seconda guerra mondiale, la sola differenza è che la distruzione allora veniva dal cielo, sotto forma di bombe alleate, qui lo sfacelo arriva dalla terra sotto forma di onde sismiche ma il risultato è lo stesso, adesso Sant’Eusanio Forconese non esiste più, quello che non era crollato con la prima scossa è caduto adesso.

Subito nasce il problema se nel paese vi fossero persone salite li a nostra insaputa, per controllare le loro case inagibili ma non crollate, per paura dei furti commessi dagli “sciacalli” o per prendere qualche cosa che gli potesse servire nel campo. Immediatamente, dopo aver indossato l’elmetto di protezione salgo su un ambulanza della protezione civile ed insieme all’equipaggio e ad un medico del 118 ci dirigiamo verso il paese sul quale la nuvola di polvere non si è ancora diradata. Quando vi giungiamo, tenendoci sempre a debita distanza dai palazzi lesionati ma ancora in piedi, scendiamo dal mezzo. Cosi per la prima volta guardo da vicino gli effetti devastanti di un terremoto, le case sono crollate su se stesse, detriti e cumuli di macerie hanno ostruito completamente il passaggio nelle strette vie, le abitazioni lesionate mostrano la inconfondibile crepa a x, questo vuole significare che in quella casa non vi potrà abitare più nessuno perché è oramai inagibile. Molte di queste mostrano sul selciato tegole e calcinacci e non sembrano affatto stabili.

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Da una strada che scende dal paese vediamo venire verso di noi una automobile con delle persone a bordo. Quando ci vedono si fermano ad una certa distanza da noi, gli chiediamo se oltre a loro vi fossero altre persone al momento della scossa sismica, ci rispondono di no, che sono gli ultimi e che il paese è disabitato. Io non sono convinto, ma il medico non ha intenzione di inoltrarsi nelle vie devastate e pericolose del paese, quindi risaliamo sull’ambulanza e ritorniamo indietro, non prima di aver bloccato alcuni volontari della protezione civile che a piedi cercano di entrare in paese. I soccorritori devono lavorare in sicurezza, adesso entrare in paese è troppo pericoloso. Ad un incrocio, a bloccare le vie di accesso al paese, vedo una pattuglia della Guardia Forestale, nessuno deve più passare ci potrebbero essere altre scosse sismiche.

Torno al campo e mentre mi avvio verso l’ospedaletto. Penso, guardando quella gente, che veramente non hanno più niente, non solo la casa, ma tutto, i ricordi di una vita, fotografie, utensili, quadri, mobili, tutto se lo è rubato il terremoto, in 20 secondi ha cancellato le loro vite ed ora devono essere veramente forti per ricominciare. Noi a casa abbiamo tutti i confort, se abbiamo fame, mangiamo, se siamo sporchi, ci laviamo, dobbiamo andare in bagno, beh, abbiamo i nostri bei bagni, rivestiti in maioliche azzurre. Se abbiamo sonno ce ne andiamo al letto sotto quelle belle e comode coperte e poggiamo la testa sui nostri morbidi e soffici cuscini. Se dobbiamo telefonare , che ci vuole prendiamo il telefono o il cellulare e chiamiamo.  Se è buio, accendiamo la luce, volendo possiamo sentire la radio o guardare la televisione. Inoltre se abbiamo mal di testa o di denti ci prendiamo una bustina di Aulin oppure un antibiotico. Loro no. I terremotati hanno perso tutti questi diritti. Se hanno fame, devono aspettare qualcuno che gli porti il cibo che spesso consiste per adesso solo in una portata, cucinata li nel campo. Non si possono lavare, perché non ci sono le docce, l’acqua delle autocisterne è fredda e comunque non c’è privacy. Se devono andare in bagno, per adesso, lo fanno dietro un cespuglio, perché ancora non sono arrivati i bagni chimici. Per dormire, fino a questa notte, hanno dormito in auto ma stasera dormiranno nelle tende insieme ad altre persone sconosciute. Non c’è elettricità tranne quella dei nostri gruppi elettrogeni. Per ora non esiste telefono fisso ma neanche i cellulari funzionano più, perché scarichi. Poi ad ogni scossa tellurica le linee cadono e non si può telefonare. La sera si sta quasi al buio, illuminati provvisoriamente dai fari delle colonne che abbiamo posizionato agli angoli del campo. Non c’è radio, non c’è televisione, non abbiamo notizie su ciò che accade nel mondo, e neanche a quanto ammonta ora la triste conta dei morti. Sono rimasto a 170, ma adesso credo che saranno molti di più.

Ecco, così vivono i terremotati di Sant’Eusanio Forconese.

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Durante un intervento a bordo di un’ambulanza del 118, transitiamo attraverso il paese di Casentino, una frazione che si trova a circa un km dalla cittadina di S. Eusanio Forconese, anche qui possiamo vedere tanta distruzione, in particolare, la chiesa ed il campanile sono crollati. Fa una certa impressione vedere ancora appese, ai resti dei muri rimasti,  delle croci di legno, ricordo della Via Crucis celebratasi il venerdi precedente, poco prima del terremoto. Quelle croci ora se ne stanno la, in mezzo all’abbattimento generale e alla polvere,  il simbolo della tragedia che stiamo vivendo.

Poco distante dal paese vi è il cimitero, li sono crollati molti loculi, le tombe si sono aperte e le bare sono cadute le une sulle altre, spaccandosi e aprendosi. La strada è stata chiusa e non vi si può accedere ma il vento ci porta l’odore nauseabondo della catastrofe.

Al campo di S. Eusanio, intanto, dei camion hanno portato finalmente i bagni chimici, molti volontari li stanno sistemando per renderli utilizzabili, meno male non si dovrà più ricorrere ai cespugli.

Costantino è tornato nuovamente alla farmacia ma non gli hanno potuto dare nulla se non un blando farmaco, perché dopo l’ultima scossa tellurica lo stabile è stato abbandonato perché reso inagibile dal sisma. Comunque porto il farmaco alla ragazza, meglio di niente.

Ho un ultimo problema da risolvere, nell’ospedaletto sono rimaste 6 persone, tutte anziane, più una ragazza che sta con i nonni e non hanno ancora una tenda loro. Devo trovargli una sistemazione e allora mi do da fare per cercarne una libera, ma è difficile, oramai sono tutte occupate. Noto che alcuni volontari della protezione civile ne stanno allestendo una, vado da loro e gli dico che quella tenda non deve in alcun modo essere data a nessuno, perché riservata agli anziani dell’ospedaletto che ne hanno più diritto di tutti, perché sono malati. Per sicurezza, con il fine di evitare brutte sorprese, aiuto i volontari nella costruzione della tenda. Dopo un ora il ricovero è ultimato, i letti sistemati. Mi faccio aiutare da un volontario, portiamo un anziano non deambulante nella nuova tenda e gli altri ci seguono. Questa, è ben posizionata, si trova di fronte al P.M.A. la postazione di primo soccorso avanzato del 118,  meglio di cosi!!!
Verso la cucina da campo vedo del movimento, significa che è pronta la cena, già la cena, stasera il menù sarà composto da tre pezzetti di parmigiano,  una fetta di pane e acqua, più tardi ci verrà data una scatoletta di tonno (quella piccola) divisa tra due persone e ancora del pane. Un uomo adulto dovrebbe assumere normalmente dalle 1500 alle 1800 calorie al giorno e per questo, sul tardi, passiamo tra le tende a distribuire alcuni pacchi di merendine.
E’ arrivata la notte e tutte le attività nel campo si sono fermate è l’ora di riposare. Faccio un ultimo giro tra le tende per dare conforto, dove possibile. Una donna mi chiede se domani ci sarà la colazione, le rispondo che farò di tutto perché ci sia, in fondo questa sera ci hanno consegnato pacchi di colombe pasquali, cornetti imbustati, merendine, latte, domani li dobbiamo portare alla cucina da campo. Questo mi fa pensare che la colazione domani ci sarà sicuramente.

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Roberto – Volontario Protezione Civile –

Il problema è che viviamo nell’incertezza, niente è sicuro. 

Le scosse si susseguono continuamente precedute da boati terrificanti, tanto cupi e tenebrosi da farci contorcere lo stomaco dalla paura. Dall’altipiano vediamo gli antichi paesi franare, si sbriciolano tra nuvole di polvere grigiastra che si alza lesta nel cielo azzurro di aprile. La gente urla ogni volta e il terrore gli resta dipinto sul volto per qualche minuto, poi i loro visi tornano muti e assenti, assorti nel loro intimo dolore. Qui è tutto così diverso da ogni cosa pensavo di conoscere e la mia mente fa fatica ad accettare il brusco cambiamento.
Dipendiamo tutti, sia i terremotati che i volontari, dai rifornimenti.
Tutto è incerto. Basta un gruppo elettrogeno in avaria e la luce va via. Un rifornimento che arriva in ritardo e non abbiamo ne acqua, ne cibo.
Basta così poco per eliminare quelle poche certezze che ancora abbiamo.
Tutto, è stato lasciato all’intraprendenza del singolo soccorritore, soprattutto nei primi tre giorni, mentre si organizzavano gli aiuti.
Ho sempre pensato che questo abbia fatto la differenza e tirato fuori da ognuno di noi, quella forza, che spesso nei momenti di pace ci chiediamo se abbiamo.
La domanda che ci poniamo << Sarei capace di prendere in mano la situazione in un caos del genere?>> può avere una risposta solamente quando questo ti capiterà e credetemi non date mai per scontato il fatto che ci riuscirete.
Io, per mia fortuna o sfortuna, a questa domanda ho dato una risposta. Forse perchè ero l’unico Infermiere nel campo, senza un medico e con 400 terremotati da assistere, forse perchè non potevo esimermi dal non fare. La necessità fa virtù, dicono.
A volte cercando anche di trattenere quelle lacrime che nei momenti di estrema tensione sembravano volere uscire copiose, poi eliminai quei pensieri che ossessivi, insinuandosi malevoli nella mia mente mi sussurravano di arrenderti e di scappare.
Non l’ho fatto, ho reagito per senso del dovere o solamente perchè, sapevo dentro me stesso che quello era il mio compito, il mio destino. Come me, tanti altri hanno fatto quello che era giusto fare.
Ho visto, persone umili nella vita, diventare Leoni e tirare fuori quella tenacia e quel coraggio che mai avrei pensato potessero avere.
Ho visto anche il contrario

Anche questo è stato il terremoto de L’Aquila.

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E’ ora di andare a letto, sono 25 ore che non dormo e sono a pezzi, la schiena e i piedi mi fanno male, non potrei reggere oltre. Ci siamo sistemati in una delle tende che mi era servita da ospedaletto e dentro oltre ai viveri per i terremotati ora c’è posto per 5 lettini in fila. Mi tolgo la divisa, rimango solo con la maglietta e i pantaloni, tolgo le scarpe antinfortunistiche e mi accorgo di avere un calzino bucato, fa niente. Sul lettino, metto il sacco a pelo ma sotto allungo una coperta che mi dovrebbe proteggere dall’umidità della notte. La tenda non ha pavimento siamo sulla nuda terra. Mi infilo nel sacco a pelo, non senza prima essermi fatto un bel cuscino con un’altra coperta, mentre una terza coperta molto ampia la metto sopra il sacco a pelo, in questo modo dovrei stare caldo. Gli altri, come me si stanno sistemando per la notte, Marco, Emanuela la moglie, io, e per ultimo Enrico che nel pomeriggio è stato nominato Coordinatore per tutte le squadre della protezione civile del campo, se lo è meritato, è infaticabile e molto competente. Roberto invece ha scelto di andare a dormire in uno dei nostri Pick Up, mentre nell’altro dormono Costantino con la ragazza. Mi sono addormentato subito, quasi un coma. Alle 3,30 di notte però mi sveglio per il freddo tremendo che sento, l’interno del sacco a pelo è ghiacciato, provo a riaddormentarmi ma non ci riesco inoltre mi sento soffocare chiuso in quella bara. Ad un tratto penso di usare la coperta che ho per cuscino, la prendo e con moltissima difficoltà, non volendo aprire il sacco a pelo per via del gran freddo che c’è, riesco provvisoriamente ad avvolgermi in questa. E’ un pochino più caldo ma non dormo, sto scomodo, mi giro e poi mi rigiro, comunque sento freddo, poi mi addormento ma poco dopo mi risveglio e intanto arriva l’alba. Dalle 5 del mattino iniziano di nuovo le scosse sismiche, alcune brevi altre più lunghe, piccoli e grandi boati mi accompagnano nel dormiveglia finché una scossa più forte delle altre mi sveglia completamente e sono le 6,30…che bella nottata, freddo intenso, insonnia, scosse telluriche, non mi sono fatto mancare niente. Mi alzo, fa freddissimo, ma almeno mi sono in qualche modo riposato, solo che ora sembriamo Zombi, facce barbute, andature claudicanti, mani poggiate sulla schiena nel tipico gesto di chi prova dolore. La giornata di ieri è stata faticosissima, però abbiamo costruito il campo e dato assistenza sanitaria, i dolori sono il minimo di fronte a queste cose.

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                                                                               Enrico – Coordinatore –

C’è anche la colazione, latte, thè, cornetti per tutti, un buon inizio di mattino, pensare che ieri qui c’era solo un parcheggio sterrato con tante auto e sfollati, oggi si può veramente dire che è proprio un altro giorno.

Mi metto di nuovo a disposizione presso il P.M.A., qui in Abruzzo gli operatori del 118 fanno turni di 12 ore e oggi c’è una dottoressa molto simpatica di Genzano, vicino casa mia, infermieri e autisti e c’è tanto affiatamento tra di noi.

Aiuto come posso, prendo pressioni, faccio stik per la glicemia, qualche puntura di antidolorifici, soprattutto ai volontari, che hanno tutti dolori lombari dovuti alla fatica e agli sforzi subiti per costruire il campo il giorno prima, anche Roberto ha bisogno di me, bene una bella puntura di Flectadol e passa la paura e soprattutto il dolore. Con la Dottoressa ci rechiamo alla tenda dove c’è la farmacia, il farmacista non è ancora arrivato, ma le persone del campo, come anche il giorno prima già hanno cominciato a chiederci nuovi farmaci. In particolare dobbiamo organizzare una macchina della Protezione Civile per andare a L’Aquila, presso l’ospedale da campo, per prendere i presidi che servono al pronto soccorso avanzato. Inoltre bisogna accompagnare una signora anziana, che deve fare un prelievo per valutare l’INR, che dovrà poi essere analizzato in un laboratorio analisi, per permetterle di assumere il Cumadin, un farmaco importante. Ma detto così sembra facile, in realtà bisogna trovare la macchina, l’autista, fare una lista dei presidi sanitari che servono e che adesso scarseggiano, ma soprattutto dobbiamo sapere se il laboratorio analisi dell’ospedale dell’Aquila è funzionante, quindi si inizia con le telefonate. In un ora siamo riusciti ad organizzare il viaggio e la vecchina, la dottoressa e l’autista finalmente possono partire in sirena verso l’ospedale da campo dell’Aquila.
Per me invece è arrivato l’ordine di partenza, torniamo a casa, ci è arrivato il cambio da Roma, con tristezza saluto i colleghi del 118, i ragazzi della Croce Rossa che tanto mi hanno aiutato ieri con la loro ambulanza, ci scambiamo con uno di loro i nostri nomi e cognomi, ci ritroveremo su Facebook. Preparo le mie poche cose e le sistemo nel Pick Up, sono pronto. Mentre andiamo via le persone che abbiamo assistito, saputo della nostra partenza, ci vengono incontro, ci salutano, ci ringraziano, qualche anziano piange e ci abbraccia, ed io penso che è vero, loro hanno perduto tutto ma a noi hanno dato tanto.

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Ma ancora c’è un problema appena fuori dal campo, lungo la strada vi è al margine della via una piccola Chiesa antica che è stata lesionata seriamente dalle scosse telluriche di questi giorni. La facciata rischia di crollare, infatti si vede chiaramente che solo pochi massi reggono l’intera volta. Per questo motivo la strada è stata chiusa al traffico con delle transenne, in attesa che l’autogru dei Vigili del Fuoco arrivi e butti giù la facciata prima che cada da sola e magari su qualche persona. Questo è un problema per noi perché non possiamo passare con il nostro automezzo, inoltre anche l’altra strada che passa sotto il paese di Sant’Eusanio è bloccata. Vi è un ponte seriamente danneggiato che sta per crollare, morale siamo bloccati almeno per quattro ore ancora. Fortunatamente Roberto riesce a parlare con il funzionario dei Vigili Del Fuoco ed essendo stati colleghi fino a qualche tempo fa, questi, per solidarietà ci autorizza a passare con il Pick Up. Siamo l’ultimo automezzo che esce da Sant’Eusanio Forconese poi se ne riparlerà fra 5/6 ore almeno.

Adesso stiamo andando via, percorriamo la strada Regionale 261 che ci porterà verso l’Aquila. Due giorni fa quando passammo qui era notte fonda e non si vedeva niente. Ora vedo scivolare via accanto a me i paesi di San Gregorio, Onna, Bazzano. Vedo cascine distrutte, palazzine crepate, muri e tetti sfondati. Colonne di automezzi della Croce Rossa, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, ambulanze. Tutta l’Italia si è mossa per questa maxi emergenza, tutti stanno facendo il loro dovere e ancora lo faranno nei prossimi giorni. Io torno a casa con grande rimpianto e un pò di vergogna, ho l’impressione di abbandonare il mio posto ma proprio non ce la faccio più fisicamente. Sono tre giorni che non mi lavo, sono tutto un dolore, sono sporco, ho bisogno di riposare come anche gli altri. Se potessi, anche per un minuto tornare indietro, rifarei tutto quello che ho fatto. Se potessi, in questo momento fermare l’auto sulla quale viaggio mi unirei a queste squadre che vedo partire. Le guardo inoltrarsi lungo queste stradine parallele alla via che noi stiamo percorrendo; perché dietro quel crinale, lungo quei boschetti, dopo quel canale, sicuramente vi sono uomini donne e bambini, che li stanno aspettando, per ritrovare la speranza, la vita, che un pauroso cataclisma tre giorni fa gli ha portato via.

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 Conclusione

Sono ritornato in Abruzzo dopo due giorni. Per il secondo turno. Appena giunto mi sono messo di nuovo a disposizione dell’Ares 118, con loro ho effettuato diversi interventi sul territorio devastato dal sisma. Sono stato in molti posti, ho visto molte cose che non voglio raccontare. Un giorno sono stato a L’Aquila, molte case erano crollate, in altre potevi guardarci dentro. Sembrava come guardare un momento di vita congelato nell’istante in cui tutto era crollato. Il salotto buono, la sala da pranzo, i quadri appesi alle pareti rimaste in piedi. Di nuovo ho sentito dentro di me quella sgradevole sensazione di violarne l’intimità. Ero in Abruzzo anche il giorno di Pasqua e Pasquetta, ho mangiato insieme agli sfollati e abbiamo regalato ai bambini del campo un bellissimo ed enorme uovo di Pasqua. Un bambino faticosamente lo ha rotto e tra gridolini di gioia ne ha mangiato la cioccolata, poi è venuto da me e mi ha dato un grande bacio sulla guancia. Inutile dire cosa ho provato.

Questa è la vita che ricomincia.

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La morale che ho tratto da questa esperienza è questa: anche se il mondo a volte ci crolla addosso non bisogna mai perdere la speranza, perché l’amore, l’altruismo, la collaborazione e la nostra stessa forza interiore ci possono aiutare a crescere e ad andare avanti per ricominciare una nuova vita.

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Marco Di Stefano – infermiere –

IL MIO VIAGGIO IN SOCCORSO DEI TERREMOTATI

 poesia scritta da Cristina D’Ippolito – infermiera-

Intorno a noi c’era il buio più assoluto

quando siamo arrivati nel paese disabitato e muto.

L’aria era fredda ed il vento soffiava forte

quasi volesse allontanare quell’atmosfera di morte.

I mezzi procedevano lentamente e con cautela

avanzando nella nebbia che tutto nasconde e vela.

Un parcheggio, delle macchine: eravamo arrivati

camminavo fra le auto guardando nei finestrini appannati

all’interno ho visto gente impaurita e assonnata

dormivano lì dentro per la seconda nottata.

Guardandoli mentre riposavano mi sono vergognato

come se la loro intimità avessi violato.

I miei compagni iniziarono a montare le tende

e qualcuno incuriosito da quei autoveicoli scende

quelle persone in silenzio guardavano il piccolo cantiere

quando sento una voce che mi chiama: infermiere!

Una ragazzina con l’espressione stanca stava male

ma era impossibile portarla in ospedale

così l’ho fatta stendere su una brandina

ed ho capito che non serviva nessuna medicina

ma solo il conforto di una parola, di un sorriso

per poter vedere un po’ di tranquillità sul suo viso.

Poi altre persone pian piano si sono avvicinate

cercavano me, perché erano malate

di un male che non è fisico ma interiore

perché tutti nello sguardo avevano il terrore.

Io ho fatto tutto quello che potevo

ero stanco, ero affamato ed in piedi non mi reggevo

però quella gente mi dava coraggio per andare avanti

e alla fine il mio soccorso è arrivato a tutti quanti.

Il campo il giorno successivo aveva un’aria più decente

e la speranza di quelle persone senza più niente

iniziava a ritornare nei loro volti benché distrutti, affamati e sconvolti.

Continuavo ad adoperarmi per fare arrivare un’ambulanza

perché il mio soccorso in fondo non era abbastanza

serviva un medico, dei farmaci e un trattamento più avanzato

Il mio ospedaletto non so per quanto tempo sarebbe bastato

a contenere tutti quei malati ma anche se tardi i soccorsi sono arrivati.

La notte faceva freddo e non si riusciva a riposare

perché la terra continuava incessantemente a tremare.

La gente allora guardava il paese spaventata

per accertarsi che la propria casa non fosse crollata.

Dopo dieci giorni era giunta l’ora di ripartire

con una stretta al cuore che mi sembrava di morire.

Ho salutato i miei pazienti dell’ospedaletto

trattenendo le lacrime quando una vecchina m’ha detto:

“grazie per l’aiuto che ci avete offerto,

almeno per queste notti non dormiremo all’aperto”

io ho sorriso e l’ho dolcemente accarezzata,

sapendo che questa avventura non sarà mai dimenticata.

Tornando a casa vedevo passare altre squadre che arrivavano

se avessi potuto avrei fermato i mezzi su cui viaggiavano

per poter tornare indietro con loro a S.Eusanio Forconese

e da tutta quella gente forte del paese.

Perché quello che ho visto resterà sempre nei miei pensieri

e so che da oggi non sarò più quello di ieri.

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