Il Cimitero

di Marco Di Stefano

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Quel giorno, Marco, nel suo ruolo di Infermiere, accompagnò per servizio il Medico Legale X, al Cimitero di ……! Il loro compito era di assistere alle estumulazioni ordinarie di cadaveri sepolti trent’anni prima e previo consenso del Medico, autorizzarne la riduzione e la disposizione dei resti in cassette molto piccole che poi sarebbero state poste nell’ossario del cimitero. Il fine di quest’operazione era di liberare i loculi per far posto ai nuovi inevitabili arrivi.

La procedura richiedeva che partecipassero all’estumulazione e alla riduzione dei corpi, come testimoni, la dove fosse stato possibile rintracciarli, anche i parenti dei deceduti.

Marco e il Dottor X giunsero all’entrata del Cimitero di buon ora e si diressero velocemente verso la Cappella, dentro la quale gli operai avevano già deposto otto bare malmesse e rovinate dal tempo. Le avevano già aperte e quando i due entrarono, questi stavano iniziando a nebulizzare sui poveri resti un disinfettante. Aspettarono pazientemente la fine del lavoro e poi iniziarono la loro ispezione sui resti umani, nel frattempo erano giunti nella Cappella un certo numero di parenti.

Ora, immaginate lo stato delle povere salme dopo trent’anni di sepoltura!

Il lavoro del Medico e dell’Infermiere consisteva nel confermare l’effettivo distacco di tutte le ossa dalle articolazioni del defunto. Se le ossa non si erano staccate del tutto, cosa che avvenne almeno in due casi, allora, dagli operai era rilasciato sul corpo un enzima corrosivo e poi richiusa la bara, dopo due anni la stessa sarebbe stata riaperta e a quel punto i resti oramai completamente distaccati sarebbero stati ridotti. Il motivo della loro presenza era che la legge non permetteva la riduzione del corpo del defunto se questo era ancora integro in alcune parti, in genere le spalle e il bacino, farlo lo stesso avrebbe significato una denuncia penale per “vilipendio di cadavere”.

Mentre procedevano alacremente nel loro lavoro, si avvicinò un signore sui cinquanta anni, che chiese se il Medico lo autorizzava a fare un controllo sui resti del padre.

Gli disse << Mio padre, ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, è stato ferito, ha una scheggia di granata in uno zigomo, non è stato mai possibile toglierla, ora vorrei vedere se la trovo!>>.

Il medico gli rispose, <<Signore mio, quella scheggia deve essere microscopica, altrimenti l’avrebbero trovata e già tolta, non credo che troverà nulla!>>.

Il signore insistette con cordialità e il medico lo autorizzò.

Marco diede un paio di guanti in lattice allo strano signore, questi li indossò e inginocchiatosi di lato alla bara del padre, come se nulla fosse, infilò le mani nella cassa. Rovistò alacremente tra i resti di polvere, ossa e lembi di stoffa consunta e ne tirò fuori un povero teschio annerito dal tempo. Con uno straccio iniziò a pulirlo, e accuratamente ne osservò gli zigomi. Com’era ovvio non trovò nulla e visibilmente contrariato ripose il teschio nel feretro. Si alzò e dopo aver ringraziato i due operatori Sanitari, si ritrasse visibilmente deluso in mezzo agli altri parenti.

I due continuarono nel loro lavoro, ma poco dopo, di nuovo lui.

<<Dottore, mi scusi, potrei prendere un ricordo di mio padre?>>.

<<Che cosa vuole prendere?>>, rispose un po’ scocciato il medico.

<<Sa, dottore, se mi permette, vorrei prendere i denti d’oro di mio padre!>>.

<< Signore, non mi sembra una cosa possibile, ma se lei insiste…poi mancano anche gli attrezzi per farlo!>>.

<<Insisto, dottore, e riguardo agli attrezzi, mi sono organizzato!>>.

Dicendo queste parole, tirò fuori un paio di pinze e un barattolo vuoto, in vetro, simile a quelli delle olive dei supermercati.

Il medico, non potendo obiettare altro lo autorizzò e il signore si riposizionò accanto alla bara del padre e tirato fuori nuovamente il teschio ghignante del genitore, iniziò con le pinze a strappargli i denti d’oro.

Uno due, tre denti, quattro, ne aveva parecchie di protesi il pover’uomo.

A ogni strappo seguiva il tetro “diiiiiinnnn” del dente che cadeva nel vasetto di vetro.

Tutto intorno a lui sembrava essersi congelato, tutti osservavano la scena frastornati e allibiti. L’Infermiere non aveva mai visto nulla di simile nella sua vita.

Finita l’opera, il signore, con fare soddisfatto, chiuse il vasetto con il suo tappo e disse allegramente: <<Ora avrò un ricordo di mio padre!>>.

Marco, con raccapriccio pensava: per fortuna che il povero genitore non aveva una gamba con una protesi in metallo prezioso, chissà come avrebbe fatto il becero uomo a portarla via? Si rendeva inoltre conto di aver guardato in faccia la cupidigia umana, un figlio che arrivava a strappare i denti d’oro del padre morto.

L’uomo salutò tutti ringraziandoli, non assistette nemmeno alla nuova tumulazione dei resti del padre, e se ne andò, soddisfatto con il suo magro tintinnante bottino in tasca.

Il tempo è passato, tuttavia Marco spesso immagina nella casa del Signore avido, il barattolino delle olive Saclà, con le quattro protesi d’oro, in bella mostra sulla credenza del salotto buono, un bene di famiglia, ottimo per i momenti di crisi economica e per i vari “OroCash”. Qualcuno gli chiederà, <<Che cosa sono quelli?>> e lui risponderà <<Sono i denti di mio padre, sai glieli ho strappati dal teschio, dentro il cimitero, perché gettarli, tanto lui non avrebbe masticato più!>>. Ci pensa spesso a quell’uomo, che per lui rappresenta la parte più brutta della razza umana, è vero che le persone non sono tutte così, ma si chiede quanti, ogni giorno, si accapigliano di fronte alle spoglie mortali di un parente, per un anello, oppure per un paio di orecchini?

La triste morale è che alla cupidigia umana purtroppo non c’è mai fine!

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