LA STRAGE DEI BIMBI DI COLLE CALDARA

Articolo di Marco Di Stefano  
 
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Nota dell’autore: Questo lavoro è stato realizzato dopo una lunga ricerca documentale.
Gli articoli dei giornali dell’epoca, e le testimonianze raccolte, spesso hanno riportato fin troppo dettagliatamente il tragico stato dei corpi e dei conseguenti tentativi di riconoscimento delle povere vittime.
Ho cercato, per quanto possibile, di mantenere comunque la verità storica, ma allo stesso tempo ho evitato descrizioni troppo dettagliate per rispetto verso i bambini deceduti.
Nel territorio di Velletri, la povertà nell’immediato dopoguerra fu per certi versi ancora più dura da superare che la guerra stessa.
La ricostruzione tardava a iniziare e la mancanza di lavoro era a livelli altissimi. Molte famiglie si arrabattavano con ciò che potevano per tirare avanti e molti uomini avevano trovato nel disinnescare ordigni inesplosi e nella vendita dei metalli in questi contenuti una via di sostentamento.
Molti perirono per le mine, altri perchè inconsapevoli dell’oggetto trovato ai margini della strada. Fu anche questa, dopo gli orrori della guerra, una vera e propria ecatombe che non possiamo dimenticare.
 Marco Di Stefano
 
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Velletri 3 aprile 1952 – funerali dei bambini uccisi
 
 
E’ la mattina di domenica 30 marzo 1952, la temperatura nella zona dei Castelli Romani  è di 25°, il cielo è sereno con un po’ di vento secco che soffia a una velocità di 60 km l’ora, tale, cita il bollettino meteorologico, da non impedire l’atterraggio degli aerei all’aeroporto di Ciampino.
I giornali, per chi li legge. nelle loro prime pagine di politica nazionale ed estera, scrivono che il tribunale di Tito ha condannato quattro italiani per spionaggio.
Ci sono manifestazioni anti italiane per le vie di Belgrado contro le rivendicazioni del territorio libero di Trieste da parte dell’Italia.
In Germania dell’Ovest, invece si parla di riunificazione e integrazione con il resto dell’Europa con la futura nascita di una comunità europea di difesa.
La guerra fredda pian piano sta raggiungendo il suo apice.
Nel giro ciclistico della Toscana tutti gli assi sono in lizza per indossare la maglia tricolore.
La Juventus è capolista in serie A, con 42 punti, e oggi si batte contro l’Udinese a 23 punti, mentre la Roma è in serie B a 37 punti, ma è prima in classifica.
Notizie importanti ma che poco toccano i velletrani. I cittadini di Velletri, che da anni fin dalla fine della guerra, appena tornati dagli sfollamenti della città, oppure usciti dalle grotte in cui si erano nascosti per sfuggire ai quotidiani bombardamenti e cannoneggiamenti alleati, sono impegnati nella lotta per la sopravvivenza quotidiana.
Sono da poco passate le nove della mattina.
Gli allegri scampanii festosi provenienti dai campanili del Trivio, di San Clemente e San Martino, le Chiese di Velletri, sono cessati da poco e in tanti si preparano con i loro abiti della festa per recarsi in chiesa.
La guerra, quella vera, è terminata per questa città da soli otto anni e se paradossalmente a soli 40 km, a Roma, ci si avvia verso gli anni della “Dolce Vita”, a Velletri le macerie provocate dai bombardamenti ancora fanno da sfondo in gran parte delle vie.
La fame è tanta e il lavoro è poco. Ci si arrangia, nei negozi alimentari si segna e si paga pian piano ciò che si compra e nelle famiglie i vestiti si passano da fratello a fratello e da sorella a sorella.
Qualcuno si è inventato un nuovo lavoro, disinnescare gli ordigni inesplosi che pullulano in ogni dove, triste lascito degli aspri combattimenti avvenuti in città nel 1944. I metalli estratti da questi ordigni sono poi rivenduti in cambio di pochi spiccioli. Spesso, però, gli ordigni inesplosi seminano morte. Muoiono i recuperanti di metalli, i contadini mentre arano la terra e i bambini che non ne conoscono la terrificante pericolosità.
Nella campagna velletrana, si stanno ancora raccogliendo le spoglie dei militari, in gran parte tedeschi, sepolti nei tanti piccoli cimiteri di guerra allestiti durante la battaglia.  Le salme verranno trasportate a Pomezia dove si lavora per la costruzione del grande cimitero Germanico che verrà aperto al pubblico il 6 maggio 1960. Lungo le strade e nei campi, i relitti dei carri armati distrutti vengono pian piano smontati e venduti, dai recuperanti, come ferro vecchio. Trincee e camminamenti sono ancora ben visibili nei boschi e nei campi . 
La primavera e l’alta temperatura sopra la media stagionale, però, rendono questo giorno particolarmente luminoso e gioioso per i velletrani e oggi paradossalmente,  la miseria, le privazioni, le case crollate, i resti della guerra, forse, sono un pochino più lontani dai loro pensieri. La gente vuole tornare a vivere dopo tanto patire. La città è in posizione collinare e il paesaggio è bucolico. I casali s’incrociano tra i terreni coltivati a vigneti, uliveti e alberi da frutto. Sui leggeri rilievi collinari, arbusti di ginestre, piccole macchie di Castagno e Mimose in fiore ne completano il paesaggio. Guardando verso ovest si può vedere la Pianura Pontina in tutto il suo splendore. Bellezza che sotto le macchie verdi, tra le piccole colline e i campi arati a volte nasconde all’occhio poco attento ciò che resta della guerra. Le rosse e polverose rovine di Aprilia si stagliano in ricordo di giorni terribili, con le città di Anzio e Nettuno bagnate, alla fine dell’orizzonte, dalla lunga linea blu del mar Tirreno.
Porgendo lo sguardo verso nord, il terreno sale dai 200 metri di altezza della città fino ai 700 metri culminando sulla cima del Monte Artemisio, un gruppo montagnoso della fascia dei Colli Albani, che con la sua mole domina Velletri e la pianura Pontina.
A mezza costa il monte è attraversato in senso longitudinale da una via costruita negli anni 30, chiamata “dei Laghi” che congiunge Velletri ai paesi di Nemi e Castel Gandolfo, dai quali si accede ai laghi di origine vulcanica che ne portano i nomi. La strada prosegue con svolte e scorci pittoreschi, discendendo chilometro dopo chilometro, per arrivare infine a Roma.
Da Velletri si può vedere bene questa via bianca, che sale verso il monte e anche la massiccia struttura grigia e polverosa ridotta in macerie del vecchio dispensario per i tubercolosi, costruito nel ventennio e bombardato durante la battaglia. Alcune curve a “esse” proseguono in salita dopo le rovine ed è da qui che iniziano i fitti boschi di Castagni e Querce che accompagnano la strada per circa dieci chilometri fin sotto Monte Cavo. Su questo tratto di strada tra la fine di  maggio e i primi giorni di giugno del 1944 si combatté la parte finale della battaglia di Velletri, tra le retroguardie tedesche e le forze attaccanti alleate.
Ai lati della strada, ricoperta da un asfalto oramai eroso dai tanti mezzi corazzati che in passato l’hanno percorsa, conferendole un aspetto biancastro e breccioso, vi sono dei piccoli fossati per il reflusso dell’acqua piovana. In questi fossi, sono deposti gli ordigni di ogni tipo che i boscaioli durante il lavoro e i militari recuperano nella parziale bonifica che si sta eseguendo da qualche tempo.
Dopo le rovine del dispensario, percorrendo le curve si giunge ad un tornante e sulla destra di questo vi è una vecchia cava di pietra che sale in verticale su una collinetta, prodromo del monte, il posto è chiamato “colle rotondo” per la sua forma e si trova in località Colle Caldara. Qualche metro più avanti in piena curva, poggiato nel fosso, un grosso ordigno giace da tempo silenzioso.
A piazza Cairoli, per assistere a un comizio sono radunati molti cittadini di Velletri, alle ore 9.35 circa l’aria festosa della domenica, la speranza in un domani migliore, sono improvvisamente rotti dal cupo boato di una forte esplosione che rimbomba e fa tremare tutta la città, facendola ripiombare nell’angoscia di un tempo passato che sembra non voglia finire mai. Qualcuno suggerisce che probabilmente si tratta di una mina fatta brillare nelle cave di pozzolana. L’ipotesi è ritenuta plausibile e i cittadini continuarono ad ascoltare le parole dell’oratore. Dieci minuti più tardi però giunge sulla piazza, a grande velocità un ciclista, il quale stravolto e in preda al terrore, smozzicando le frasi, narra che poco prima, percorrendo la via dei Laghi, nei pressi della località Colle Caldara, ha udito un tremendo scoppio e visto schizzare in aria frammenti di membra umane.
In direzione del monte si osserva un lungo pennacchio di fumo nero e polvere che s’innalza da Colle Rotondo.
Una folla di centinaia di persone si riversa sul luogo della sciagura,  intanto accorrono le prime ambulanze, e i vigili del fuoco, il maresciallo Domenico Savino, della locale stazione dei carabinieri, il Sostituto Procuratore.
Agli occhi della prime persone giunte sul posto, si presenta una scena indescrivibile, tale da richiamare alla mente le più terrificanti visioni dei bombardamenti.
Una vasta zona del terreno dove è avvenuta l’esplosione, è completamente sconvolta ma non c’è una voragine prodotta dall’esplosione poichè questa è avvenuta su una grande pietra lavica sulla quale è stato poggiato l’ordigno poi esploso.
Tutto intorno, per un raggio di circa 200 metri, sono disseminati brandelli sanguinanti di corpi umani che le schegge di un proiettile hanno orribilmente dilaniato, “Non vi era traccia di un solo corpo intero”, riferiscono i testimoni.
Esaminando il terreno a palmo a palmo, i vigili del fuoco, infermieri del corpo sanitario del Comune, cittadini volenterosi tentano di ricomporre almeno in parte i miseri resti, nell’intento di accertare almeno il numero delle vittime. Una sola cosa appare certa, fin dall’inizio: si tratta di bimbi. Soltanto dopo tre ore si riusce a stabilire che i fanciulli miseramente periti sono almeno nove.
Scene strazianti si svolgono, intanto, nei casolari disseminati nella campagna circostante. Ogni famiglia di contadini ha almeno un bimbo che si è recato a giocare in quei paraggi approfittando della giornata festiva. Molti di loro non rispondono ai disperati richiami dei genitori angosciati e ognuno di queste madri e Padri, in cuor suo teme che tra le vittime dell’esplosione vi sia anche il proprio figliuolo. Trascorre del tempo prima che si riesca a radunarli, ma dieci non rispondono ai richiami.
In questa splendida mattina calda e soleggiata a Colle Caldara, dieci bambini tra i 5 e i 14 anni, vestiti con gli abiti della domenica, hanno deciso di trasportare dal cespuglio dove l’hanno trovato fino al punto dove l’hanno fatto esplodere un ordigno bellico, sono i fratelli Italo. Moreno e  Leandro Petrella. rispettivamente di 13, 9 e 4 anni, i loro cuginetti Mario e Marcello Petrella, di 9 e 7 anni, e i fratelli Beniamino e Pierino Zaccagnini di 12 e 9 anni. Alfredo Borro di 9 anni. Orlando Bagaglini di 14 e Valter Fabrizi di 8 anni. e loro saranno per sempre ricordati come “i Bimbi di Colle Caldara”.
Ore 9.40 circa e Enrico Imperiali, l’autista di una corriera della società Zeppieri, che scende lungo la via dei Laghi proveniente da Roma, vede spiaccicarsi a pochi metri di fronte alla macchina “un pezzo di carne”. <<Che diamine? – racconta – era difficile capire. Pensai si trattasse di un gatto morto gettato dall’alto. Poi mi accorsi di altri brandelli. Proprio carne. I gatti che si trovano morti sulla strada non sono così. Allora frenai e discesi. Gente correva verso il Colle Caldara, mi arrampicai anch’io.>>
Giancarlo Di Stefano, ha dieci anni e abita nella vallata che da Colle Caldara degrada verso la via Appia.
Ha sentito lo scoppio assordante:
<<…che fa tremare la casa e tutta la vallata!>>. 
Corre incuriosito velocemente verso il luogo da dove pensa ci sia stata l’esplosione. Giunto a circa un chilometro  di distanza, vede in lontananza, lungo il costone del monte, decine di persone che salgono e si arrampicano. Teme sia accaduto qualcosa di tremendo e la paura lo fa tornare indietro.
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Giancarlo (in piedi) e Enzo Di Stefano all’epoca della sciagura
 
 
Le persone che accorrono sono uomini e donne: i padri, le madri delle piccole vittime. Il bracciante Filippo Fabrizi che fino a pochi minuti prima ha rincorso in mezzo ai rovi il figlio Walter, di sette anni, per impedirgli di andare a giocare con gli altri ragazzi, per condurlo con sé a Velletri. Ha visto il corpicino volare in aria nella fumata polverosa dell’esplosione e ricadere nel folto di un cespuglio. Gli si getta addosso e lo stringe, lo solleva tra le braccia e urla << Non avevo che te>>. Poi si accorge che non era il suo bambino ma un altro: Marcello Petrella di 5 anni.
Accorrono i contadini, Silvio Zaccagnini e Florindo Bagaglini. Quest’ultimo mentre sta lavorando presso l’uscio di casa, sente l’esplosione, e voltatosi di scatto gli sembra di vedere una cascata di sassi rotolare giù per la china del colle: << Madonna, – esclama- quanti sassi!>> La moglie che gli sta accanto, grida disperata: << non sono sassi, sono i figli nostri!>>.
Silvio Zaccagnini, padre dei fratelli, Pierino di otto anni e di Beniamino di dieci, è il più veloce di tutti nella corsa, benché ogni tanto si arresti di schianto, ma solo per un attimo, piegato sul fianco sinistro, afferrandosi a qualche arbusto o a qualche ciuffo d’erba per non scivolare indietro: malato di cuore non sa come il cuore non gli scoppi.
Corre su per l’erta un ragazzo, Sandro Borro, fratello di Alfredo, un’altra delle vittime e cerca a volte di trascinare la madre per il grembiule, a volte di spingerla dietro la schiena perché faccia più presto e non rotoli con il suo bimbo di tre mesi tra le braccia.
Corre anche altra gente. E tutti gridano e implorano, chiamano un nome: Pierino! Beniamino! Walter! Orlando! Italo! Mileno! Leandro! Mauro! Marcello! Alfredo!
Le madri disperate tra urla e pianti cercano nel carnaio i resti dei propri figli e raccolgono pezzi di loro e li pongono all’interno dei grembiuli rigirati a mo di sacchi, qualcuno usa anche dei secchi.
L’identificazione dei cadaveri è estremamente difficile. Sono brandelli, trucioli di carne, ritrovati tra i cespugli, addirittura tra i rami degli alberi più alti.
I tronchi degli alti Castagni, intorno al luogo dello scoppio sono ricoperti da una sostanza grassa e gelatinosa. Quegli stessi alberi dove, dai rami spogli, ora tremano al vento pezzetti di stoffa, pezzettini delle loro camicine, delle loro giacchettine, dei loro pantaloncini che l’indomani qualcuno andrà a prendere, arrampicandosi, per conservare quella reliquia bruciacchiata in casa.
Le cinque famiglie si precipitano alla camera mortuaria del cimitero, dove frattanto i miseri resti sono stati trasportati da una ambulanza e ricomposti alla meglio sul freddo marmo. Straziati e piangenti, i familiari dei bimbi uccisi si aggirarono a lungo intorno alle lastre ove giacciono ammassi informi di membra, identificando a stento; da un brandello di vestito, da una scarpa o da una maglietta i propri figli, i cui volti sono irriconoscibili. Nove sono le identificazioni sommarie effettuate finora, ma dieci sono i fanciulli rimasti uccisi.
Olga la mamma di due dei bambini deceduti nell’esplosione in un video del 30 marzo 2021 pubblicato dal giornale “La Nuova Tribuna” ricorda quel giorno infausto.
Aveva 25 anni quando avvenne la tragedia.
“Quel giorno sono andata in chiesa, i bambini li volevo lasciare a casa della nonna ma non lo feci e restarono la da soli. S’incontrarono con gli altri bambini dell’asilo e andarono via tutti insiemi. Dopo la messa mentre mi trovavo in località Ponte Rosso, incontrai un conoscente che mi chiese se sapevo cosa fosse successo, mi disse che era scoppiata una bomba, ma io ero in chiesa e l’esplosione non l’avevo neanche sentita, invece la deflagrazione l’aveva udita tutto il mondo. Mi misi a correre, correvo, correvo… dal Ponte Rosso verso il luogo dell’esplosione e non c’è la facevo. Si fermò un uomo con un camion mi fece salire e mi portò fin lassù. Quando sono arrivata, non ho visto niente, ma la mamma di uno dei bambini mi disse che uno dei miei figli lo avevo laggiù, quello più piccolo, lo avevano riconosciuto poiché di lui era rimasta intatta la testa e due mezze spallette, l’esplosione li aveva fatti tutti a pezzi. Mi allontanarono dal luogo della tragedia e mi portarono via e non mi fecero vedere più niente. Mia suocera mi disse che i bambini erano vivi ma le risposi che non lo erano perché una donna mi aveva detto che uno dei miei figli lo aveva visto morto. La notte non dormii, pregavo i santi, per il grande dolore che avevo. Da allora il Comune di Velletri, il 30 marzo, celebra la ricorrenza in ricordo dei bambini. Sempre, da sessantanove anni, è stata celebrata, anche quando una notte cadde la neve, la mattina si svolse lo stesso, con i rappresentati del Comune, le guardie e le bandiere. Tutti gli anni la fanno e ogni volta ritorno a quel giorno, e sento come allora il dolore nel petto e non ne posso più. I miei figli si chiamavano Mauro e Marcello, andavano a cercare le schegge, per rimediare qualche soldino, perché in tempo di guerra gli aerei che passavano buttavano le bombe e c’erano tante schegge e i miei figli le vendevano. Con i soldi che ricavavano, gli avevo comprato un vestito per fare la Cresima, perché noi eravamo poveracci. Era andato sempre tutto bene, invece sono morti e non li ho visti più, non li ho visti più i miei bambini, non sono ritornati più.”
 
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La Signora Olga nel video del giornale “La Nuova Tribuna”
Qualcuno ha piantato una rozza croce di legno nel luogo, dove l’ordigno è esploso, uccidendo i dieci bambini e disperdendone i brandelli sanguinolenti per centinaia di metri all’intorno.
Una piccola croce formata da due assicelle di cassetta da imballaggio, inchiodate alla meglio, un braccio più corto dell’altro, e sembra anch’essa una croce fatta da ragazzi, per gioco.
Un silenzio assoluto, dove poco prima si sono levate tante urla, tante implorazioni, tante voci della disperazione umana. Solo poche persone sono rimaste intorno alla rozza croce di legno. Inginocchiato un giovane contadino, Giovanni Di Stazio, cerca di disporre i fiori di mandorlo e di pesco, i mazzi di giacinti e di violacciocche, le viole mammole, deposte in terra dai parenti, in modo da comporre un riparo alle candele che il vento secco continua a spegnere. Ogni tanto tenta di pregare intrecciando le dita di una mano con quelle dell’altra, ma non soddisfatto delle preghiere a lui famigliari, voltandosi chiede: << nessuno sa qualche bella preghiera?>>. Vuole onorare quei bambini che tante volte ha visto giocare di fronte all’uscio di casa sua: << proprio nessuno conosce una bella preghiera?>>.
Intanto aspettando che siano pronte le più belle bare mai preparate, forse per bambini tanto poveri, i resti sono stati raccolti nella camera mortuaria del cimitero, nelle rozze bare del deposito. Le bare non sono dieci ma undici. Sul coperchio dell’undicesima è scritto: << Resti umani non identificati>>.
La cittadina di Velletri è immersa nel lutto per la sciagura. La camera mortuaria del cimitero è meta da due giorni di un mesto pellegrinaggio. Migliaia di persone sono sfilate di fronte alle dieci piccole bare, dove sono raccolte le salme delle vittime, e in ogni bara sono stati deposti fasci di fiori raccolti sulle rive dei laghi, a testimoniare il cordoglio di tutta la popolazione dei Castelli Romani per il lutto che ha colpito Velletri. Per loro la comunità sta facendo costruire quelle nuove bare, dopodiché saranno trasportate in municipio e allineate nella grande e bella sala del Consiglio comunale, trasformata in camera ardente.
I funerali solenni si svolgono giovedì 3 aprile 1952 a spese della città e vengono celebrati nella Cattedrale di San Clemente alla presenza delle consorti dei Presidenti della Repubblica e del Consiglio, le Signore Eniaudi e De Gasperi. 
La spaventosa sciagura che ha accomunato e mescolato i cadaveri ha suggerito alla pietà dei velletrani l’idea di far seppellire i dieci bambini in una grande tomba comune, su cui i cittadini hanno chiesto sia eretto un cippo commemorativo.
 
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Tratto dall’articolo del giornale L’Unità del 31 Marzo 1952 di Elvira Lusini
“Come sia avvenuta la sciagura è stato difficile stabilire; ma da una prima indagine svolta sul luogo dal maresciallo Savino, dal Sostituto Procuratore e dalle autorità locali, è stato possibile ricostruire, almeno sommariamente, l’accaduto. Colle Caldara è una località che dista tre o quattro chilometri dal centro abitato di Velletri: una vasta distesa di campagne e di prati che corre lungo la via dei Laghi, dove sorgono, sparpagliati, casolari abitati da poveri contadini. Tutta la zona, durante i combattimenti d’inizio Giugno 1944, era stata  disseminata di mine protettive, che nella quasi totalità non furono rimosse dopo la fine della guerra. Una di queste mine anticarro è stata rinvenuta ieri mattina dai bimbi che si erano recati nel prato a giocare. I più grandicelli, forse nel tentativo di ricavare da essa il materiale ferroso contenutovi, hanno cominciato a picchiarvi sopra con una pietra, mentre gli altri incuriositi facevano ressa intorno. Probabilmente, uno dei tanti colpi, ha toccato il percussore, provocando così la tragica esplosione. La cosa non si spiega altrimenti. poiché per far esplodere automaticamente una mina anticarro è necessario sottoporla ad una pressione di circa 40 quintali.
Molte sono le persone che versano in condizioni di estrema indigenza. e molti sono coloro che per racimolare poche lire espongono al rischio la propria vita. I contadini di Velletri sono poveri, i giovani sono disoccupati e spesso vanno in giro per le campagne in cerca di rottami di ferro o di piombo da rivendere. I residuati di guerra abbondano in quella zona, ove ha infuriato la battaglia, ed essi li raccolgono, cercano di smontarli, di ricavarne il poco ferro contenutovi. La miseria li rende incuranti del pericolo, ma non va certo attribuita loro la responsabilità delle sciagure che si susseguono ininterrottamente, a otto anni di distanza dalla fine della guerra, seminando lutti e dolore.
A Velletri, non molto tempo addietro. tre persone rimasero uccise dall’esplosione di un ordigno bellico; meno di un mese fa una bomba d’aeroplano, con 500 chili di esplosivo, fu trovata nei pressi di una abitazione e pochi giorni dopo. dietro un cespuglio in località Ariafina furono rinvenute ben venti bombe da mortaio. Nella stessa località ove è avvenuta ieri la tremenda sciagura, è stato accertato, durante il sopralluogo, che un altro proiettile di grosso calibro si trova nelle vicinanze. E non sono certo mancate le denunce, le segnalazioni, le pressioni da parte della popolazione e delle amministrazioni comunali. In seguito alla sciagura è stata presentata una interpellanza con la quale è stato chiesto al Sindaco di rinnovare le sollecitazioni alla Direzione generale d’Artiglieria perchè venisse al più presto effettuato un nuovo e completo rastrellamento di tutti gli ordigni bellici che ancora esistono alla periferia della città e nella provincia. La sciagura è una delle più tragiche e sanguinose che si siano verificate nella provincia di Roma.”
 
Molte storie sono state raccontate sulla tragedia, alcune vere, altre di fantasia. L’episodio più insistente riguarda il più grande dei ragazzi, quello di 14 anni. Questi, l’unico che non faceva parte del gruppo stava pascolando una mucca. Probabilmente vide i bimbi giocare con l’ordigno e gli si avvicinò, forse incuriosito, forse per sgridarli e allontanarli dal pericolo e morì nello scoppio. È tuttavia impossibile a distanza di più di mezzo secolo stabilire ciò che davvero accadde e tutto il resto che si vorrebbe sapere su quel giorno infausto.
Di certo c’è solo che i dieci bambini erano felici in quel momento, com’è felice ogni bambino che abbia una vera “arma” tra le mani. E probabilmente con quello scintillio di felicità passarono tutti insiemi, in un baleno nel paradiso.

Sono trascorsi sessantasei anni, il tempo ha steso una patina sui ricordi com’è naturale che sia, ma Velletri nonostante questo non ha mai dimenticato le piccole vittime. Ogni anno, da quel giorno tremendo, una manifestazione sempre ne ha mantenuto vivo il ricordo. Nel 2017, è stata organizzata una mostra fotografica per ricordarli, evento al quale ha partecipato l’ultima madre vivente tra quelle che persero i figli nell’esplosione. Olga nonostante i suoi 92 anni ha voluto essere presente per ricordare quell’infausto giorno. Quella giornata di domenica di tanti anni prima in cui una guerra terribile da poco terminata ma ancora non sazia, volle prendersi famelica anche la vita dei suoi due amati piccoli figli.

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Alcuni dei bambini di Colle Caldara
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Le piccole bare nella cappella del cimitero
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Luogo dello scoppio
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Monumento commemorativo eretto nel luogo dello scoppio
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La tomba dei bambini di Colle Caldara nel cimitero monumentale di Velletri
 
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Fonti:

3 risposte a "LA STRAGE DEI BIMBI DI COLLE CALDARA"

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  1. io sono nato a Velletri nel 1954, sono un Bagaglini, papà nel 1921 è nato lungo la via dei laghi. Di certo il piccolo Orlando era un parente. Ora abito a Roma ma al cimitero di Velletri o i miei cari, in occasione delle mie visite passo per un saluto davanti alla lapide dei piccoli velletrani. Grazie a chi mantiene vivi questi ricordi. Arturo Bagaglini.

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